Da anni passavo per la stazione Tiburtina, a Roma, per andare a prendere il trenino per Fiumicino, un giorno cambiai il solito itinerario e andai a passare in Via G. Mazzoni, dove vidi, dietro a dei secchioni per l’immondizia, sotto un alberello, e tra i pullman dell’Acotral, una Vespa bianca, mi sembrava una Vespa piccola, aveva un parabrezza trasparente, parzialmente rotto, la ruota posteriore un pò sgonfia, tracce di ruggine sulla carrozzeria, ed era sporca di escrementi di uccelli.
Pensai “ma che sta a fare questa vespa qui?”. Dopo cinque giorni, il turno dopo, ci ripassai apposta per vedere la Vespa, e notai che era un PK125E, mi informai su internet e risultò che la PK125E non esisteva, o meglio esisteva ma non era come quella. Il turno dopo guardai attentamente la scritta e notai che era PX125E. Solita ricerca su internet ed ecco svelate tutte le caratteristiche della vespa abbandonata. Una volta soddisfatta la curiosità dimenticai la vespa. Dopo parecchi mesi, forse anche più di un anno, ripassai in quella via e mi accorsi con stupore che nello stesso posto di tanto tempo prima giaceva ancora, abbandonata a se stessa la Vespa. Era ulteriormente invecchiata ma conservava ancora intatte tutte le sue parti, come se nessuno avesse il coraggio di toccarla, era nella stessa posizione in cui me la ricordavo. Mi annotai il numero di targa, sperando che mi sarebbe servito ad avere ulteriori notizie sulla Vespa, e così tramite visura al p.r.a. riuscii a risalire al nome del proprietario. A questo punto che fare? Cominciava a ronzarmi in testa l’idea di salvare quella Vespa da un destino certamente letale, ma non volevo avventurarmi nell’impresa, che ritenevo troppo dispendiosa. Una sera a casa mi venne in mente di cercare il proprietario della vespa con facebook , niente, solo persone che avevano lo stesso cognome ma nessun omonimo. Mandai qualche messaggio a caso e restai in attesa. L’attesa durò alcuni giorni, si fecero vivi due contatti, uno era il fratello e l’altra la cugina della persona che cercavo. Dopo alcuni giorni avevo il nr di telefono del proprietario della vespa. Dovevo solo decidermi a telefonare, pensavo a tutti i problemi che mi comportava l’acquisto della vespa, primo tra tutti il trasporto a casa. Una sera telefonai in orario educato, per non irritare. Mi rispose un signore che sapeva che lo stavo cercando e che disposto alla vendita, mi diceva che tra qualche giorno mi avrebbe richiamato. Ero in viaggio per Roma, sul Pullman, squilla il telefono, era lui il proprietario della Vespa. Mi chiese 1300 euro! Restai un attimo senza pensare, poi mi svanì il pensiero di comperarla, erano giorni, ormai che stavo pensando al suo restauro e già gustavo i lavori che avrei potuto fare a quella Vespa per farla tornare agli antichi splendori, per ridarE dignità al suo nome e alla sua storia, per passare momenti di soddisfacente operosità, per dilettarmi nei lavori di restauro. Ma quella richiesta mi soppresse tutto. Ringraziai e gli dissi che quella cifra non rientrava nelle mie volontà di spesa e salutai. Lui mi disse “Ma allora quanto mi puoi dare?” risposi “non più di 400 euro”, lui rilanciò: “Ma a 600” – “ ti faccio sapere”gli dissi e ci salutammo. Dopo alcuni giorni mi decisi a elevare l’offerta a 500 euro, anche perché avevo sentito alcuni restauratori i quali mi avevano consigliato di fare l’acquisto. Posi una condizione, gli avrei dato 500 euro se la Vespa me l’avesse consegnata marciante. Accolse l’offerta. Un pomeriggio di Giugno, con mio cognato e mio figlio, partimmo per Roma, con un furgone, per andare a sottrarre la Vespa dal quella condizione indecente e immeritata in cui si trovava. Dopo alcuni tentativi di farla ripartire, il proprietario si arrese e cedette alla mia richiesta di scontarmi il prezzo di 100 euro. Mi spiegò che quella vespa lui l’aveva prestata ad un suo amico due anni prima e che da quel momento non ne aveva avuto più notizie, se la ricordava in buone condizioni e per questo mi aveva chiesto quella cifra esagerata, non se lo immaginava che stesse in quel posto e in quelle condizioni. Poco prima che facesse buio arrivammo a casa, erano più evidenti i segni della sofferenza patita, quel lerciume tipico dei barboni metropolitani, quel senso di grigio e sudicio, i segni di giorni e giorni passati a raccogliere smog cittadino ora si vedevano tutti. Cominciai a lavarla, man mano che strofinavo tornava a far bella mostra di sé la vernice che sembrava conservata da quella pellicola di unto e polvere catalizzati, e in effetti appena asciutta, si presentava in buone condizioni. Qualche ritocco alla vernice e via.