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4 parole sulla 3 Mari


Calabrone
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Il resoconto del giornalista raider Attilio della sq. 9.30

composta da lui ,Calabrone ed highlander

 

Tre Mari, avventura su due ruote

La pioggia di giugno non ha fermato la Vespistica dalla Calabria alla Puglia

 

Le mani insalsicciate in un paio di guanti da cucina gialli, i piedi foderati da buste di un cestino estroso quanto basta, e un maxi sacco da 75 kg indossato a mò di trench morbidamente destrutturato, di quelli in materiale povero che fa tanto cool: è questa la visione vagamente fantozziana apparsa dall’ altra parte dello spioncino di casa al mio ritorno. E vallo a spiegare poi, ai profani ridens che quando piove per davvero non c’ è abbigliamento tecnico che regga, e che l’ unica salvezza è la busta di plastica, meglio se di quelle belle spesse che non tracimano al primo movimento inconsulto tipo pedivellata per partire. Perché se c’ è qualcosa che di sicuro non dimenticheremo facilmente di questa Tre Mari 2006 è la pioggia di giugno.

Che a differenza della romantica pioggia di marzo, ti stampa sul sorriso ancora incredulo da gitante allegro certi goccioloni come proiettili, dando la stura a soliloqui dalla scurrilità altamente irriferibile. Ma nonostante tutto, come si dice, siamo qui a raccontarla, e nel racconto, si sa, qualsiasi imprevisto acquista una dimensione epica, tanto da poterla sintetizzare così: è stata davvero un’ avventura! Una di quelle che riportano l’ andare in Vespa ad una dimensione d’ altri tempi, quando ogni chilometro percorso era fatica e conquista, segnato sui visi alla sera più che sugli spartani e approssimativi contachilometri.

E di certo un’ impresa lo è stata per Stella e Ita, 11 anni ciascuna e 1000 km dietro al sellino di papà Oronzo e papà Fausto, la cui giovanissima età non ha ancora intaccato la riserva di pazienza che occorre per fare il passeggero, e per di più, sotto l acqua. E sono proprio loro, Stella e Ita, del Vespa Club Monopoli, le mascotte dell’ edizione 2006 della Tre Mari, simbolo di questa sorta di famiglia allargata che si è ritrovata dopo l’ esperienza dello scorso anno, quando dopo un’ assenza lunga 40 anni, il mitico raid è rinato grazie all’ impegno di due caparbi vespisti di lungo corso come Maurizio De Pasquale e Gianni Marasco. È cosi, se papà Oronzo lo scorso anno aveva portato con sé l’ altra figlia Santa, tredicenne, la banda angloromagnola del forlimpopolese Mughetti quest’ anno ha trascinato con sé un po’ di amici neozelandesi, subito ribattezzati il Tu Meke Team, arrivati via Londra con mogli al seguito, entusiaste di potersi abbandonare nel frattempo allo shopping made in Italy. Anche Gino, del Vespa Club Lecce, che tra un mesetto diventerà papà, non ha voluto rinunciare ad esserci, dopo aver condiviso lo scorso anno con Aurora, ed altri 70 vespisti, la propria luna di miele sulle strade della Tre Mari. In compenso, di coppie quest’ anno ce ne sono di altre: Maria e Marco, mitico web master del sito vesparesources.com, giunti fin qui da Perugia, e poi Grazia e Pietro, da sei anni in giro per raid e raduni, ognuno rigorosamente con la propria vespa, una 125Primavera lui, una 150Sprint lei, e poi, ad alzare l’ età media, il solito manipolo di catanzaresi giramondo capitanati da Fernando “u dutturi”; ed è proprio da loro che arriva il primo brivido, con Franco che precipita in una fossa d’ acqua degna dei cartoon di Willy il coyote, e dalla quale sembra non dover riemergere più. Da dove schizza su, invece, in equilibrio su una ruota, e così per altri 10,20,50, o chissà quanti altri interminabili metri, un’ impennata improvvisa che solo l’ esperienza riesce a controllare, riavviando per tutti noi tempo e respiro. Quanto a me, in sella alla vespa giallo/nera di Calabria Ora, anche quest’ anno ho fatto squadra con Emanuele, sempre prodigo di pazienza e consigli, un prezioso compagno di viaggio per tutta la compagnia, come avrà modo di accorgersi Marco sin dalla prima tappa: partenza dal c”chilometro più bello d’ Italia”, come definì d’ Annunzio il lungomare di Reggio Calabria, e via, attraverso gli incanti della Costa Viola, dove l’ esibizione nastro d’ asfalto sembra un miracolo strappato alla forza del mare. E a ricordarti che il mare è li, proprio un paio di metri sotto le ruote, la salsedine che invade il casco con il suo odore penetrante, regalandoti sensazioni struggenti. “Solo onde del mare”, la scritta su un balcone, mentre pian piano ci inerpichiamo verso il monte Elia, tornanti di montagna con vista a strapiombo sul mare che fanno dimenticare tutta la pioggia attraversata per arrivare fin qui. Un percorso che mette alla prova frizioni e motori, e che alla lunga, blocca Marco e Maria con un grippaggio a metà strada. Ma per fortuna, siamo vicini a Paola e al magico garage di Emanuele,(Calabrone) da dove spuntano fuori un cilindro ed un pistone, che Ranieri, altro nostro compagno di squadra, trapianta con veloce destrezza.

Ultimi chilometri della giornata, e arrivo a Scalea, dove ci aspetta l’ ultima grandine di primavera.

E come sempre, la fatica e le tensioni della giornata si sciolgono nei lazzi della cena, prima di affrontare i 350 km del tappone dell’ indomani, che dopo altre montagne, ci porteranno sullo Ionio, e giù fino a Lecce. Solito rito della vestizione di plastica al mattino, dopo aver scrutato i nuvolosi che stazionano perfidamente sul nostro percorso e poi su per Maratea, Trecchina e Lauria, attraverso un percorso fatto di quei tornanti che deliziano le papille guidatorie, e che piega su piega, ti invogliano a ridisegnare la strada. La pioggia per il momento ci ha graziato, ed è il caso di festeggiare con due fette spesse di pane casereccio imbottite di mortadella, uno di quegli spuntini che creano complicità, e che di certo a qualcuno di noi rimarrà impresso quasi quanto la madeleine di Proust.

Si riparte con il solito andare lento che ti fa gustare la sensazione di sentirti parte di quel paesaggio silenzioso e selvaggio, e si arriva a Taranto che quasi non ci se ne accorge, accolti dalle svettanti torri dei complessi industriali.

Un timbro, un caffè, ancora un’ ottantina di chilometri a cavalo tra la costa rocciosa e gli uliveti dell’ interno, e siamo trionfalmente in piazza Sant’ Oronzo, cuore storico di Lecce e capolinea della nostra tappa odierna. Kapai?, mi chiederà poi a cena David in lingua maori, anche lui visibilmente stanco ma raggiante, tutto bene?. E mi racconta con orgoglio di come sua moglie Sara Jane porti lo stesso cognome di Sir Edward Blake, colui che strappò l’ America’s Cup agli yankee, considerato ormai un eroe nazionale. E se per noi la serata finisce con la cena, nel furgone inglese di Andy c’ è ancora della birra sufficiente per uno di quei party carbonari di mezzanotte che ti lasciano con gli occhi gonfi al mattino. Siamo ormai all’ ultima tappa, quella che ci porterà a Bari, consegnandoci alle mani premiatorie di sindaco, responsabili FMI, e assessori assortiti, in un tintinnare di coppe e medaglie.

Neanche il tempo di un abbraccio con la promessa di ritrovarsi, che ancora un altro temporale si avvicina; dobbiamo vestirci in fretta, altri 400 km ci separano da casa, e forse è un modo anche questo per sfuggire a quella sensazione di vuoto che come sempre ti prende alla gola quando tutto è già ricordo

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Clap clap clap clap.

Certo che Attilio, è proprio un mago con la sua penna.

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Complimenti! Hai reso molto bene lo spirito del "Giro".

 

Ciao, Gino

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